Nella patria del Perugino, il “Divin Pittore”.

Scritto il 28/05/2020
da Lorenzo Berna


Culla d’arte di prim’ordine nel panorama italiano, Città della Pieve è nota per aver dato i natali a Pietro Vannucci, meglio noto come “il Perugino”.

Ignota è la sua data di nascita (ipotizzata fra il 1448 e il 1450), mentre la casa paterna è tradizionalmente collocata nella zona della centralissima Piazza Plebiscito, segnalata da una lapide commemorativa.

La vita di Vannucci, membro di una delle più ricche famiglie del borgo, all’epoca sotto la dominazione perugina, è poco nota nella fase giovanile. Secondo gli studi, soprattutto, di Giorgio Vasari, si formò a Perugia, all’epoca fra le principali città artistiche italiane. Qui avrebbe aperto una propria bottega, nella quale fu maestro, fra gli altri, di Raffaello Sanzio.

Ma fu Firenze la città ove Perugino avrebbe definitivamente sviluppato la propria arte, frequentando la bottega di Andrea del Verrocchio (ove conobbe Leonardo da Vinci) e iscrivendosi, nel 1472, alla Compagnia di San Luca, prestigiosa accolita dei principali artisti cittadini. La sua lunga presenza nella città medicea fu tale che Francesco Albertini, antiquario e studioso d’arte locale, nel 1510 scrisse di lui: «Pietro Perugino, ben si può dire fiorentino, ch’è allevato qui».

Fondata una bottega anche a Firenze, Perugino si consacrò nel firmamento dei pittori rinascimentali. Finché alcune circostanze sfortunate e l’avvento di una nuova corrente artistica rappresentata da Leonardo da Vinci, Sandro Botticelli e lo stesso Raffaello ne portarono la celebrità al tramonto. Vannucci fu così costretto a dedicarsi a lavori meno impegnativi, per lo più in località umbre. Presso una di queste, Fontignano, restò ucciso dall’epidemia di peste del 1523.

La grande produzione artistica del Perugino è tutt’oggi ammirabile in molte città italiane: oltre a Perugia e a Firenze, si fregiano dei suoi tesori, fra le altre, Roma e ovviamente Città della Pieve.


Il Battesimo di Cristo e la Madonna in Gloria e Santi sono visibili all’interno della Cattedrale dei Santi Gervasio e Protasio.

La prima opera, un olio su tavola, è collocata nel primo altare a sinistra: realizzata attorno al 1510 è contraddistinta dall’eccellente prospettiva utilizzata dal “Divin Pittore”, con le figure di Cristo e di San Giovanni Battista in una posa richiamante l’arte ellenistica.

La seconda è posta al centro dell’abside: firmata e datata 1514, si contraddistingue per una splendida tonalità cromatica, incentrata sull’ammaliante contrasto fra l’azzurro e il rosso.




La Deposizione della Croce si trova presso la Chiesa di Santa Maria dei Servi.

E' uno degli affreschi più tardi (1517) del Perugino. Collocata nella Cappella della Madonna della Stella, fu gravemente danneggiata nella prima metà del Settecento durante i lavori per la realizzazione di un organo, tanto che si decise di nasconderla dietro a un’intercapedine.

L’opera cadde nell’oblio per oltre un secolo, fino a quando, nel 1834, il pittore e storico dell’arte tedesco Johann Anton Ramboux non la riscoprì.

La porzione oggi apprezzabile è un esempio eloquente della tarda produzione del Divin Pittore, ormai avviato lungo il viale del tramonto: pur restandone intatto l’eccelso stile, il Perugino qui pare ispirarsi (specie nella figura del Cristo) proprio a quel suo ex allievo, Raffaello Sanzio, che all’epoca lo aveva già superato in fama.



All’esterno delle omonime scalette, fiancheggiata da viale Gino Cappannini, sorge la duecentesca Chiesa di San Pietro, già sede della Società dei Disciplinati di San Salvatore.

A quest’ultima va il merito di una serie di importanti interventi operati nel 1508 sul luogo di culto, fra i quali la commissione al Perugino di uno dei suoi ultimi affreschi, Sant’Antonio Abate tra i Santi Paolo Eremita e Marcello, situato dietro l’altare maggiore.

L’inconfondibile stile pittorico del Vannucci colloca i tre personaggi principali entro una struttura sormontata da una lunetta con Gesù e gli Angeli.

Il forte sisma che colpì Città della Pieve il 9 maggio 1861 danneggiò in parte la Chiesa e l’affresco, per essere salvato, fu strappato dalla parete, riportato su tela e nuovamente posizionato nel luogo originario.

 



A fianco della Chiesa di Santa Maria dei Bianchi, sorge l’Oratorio della medesima Confraternita.

La struttura, oltre alle vesti e al grande crocifisso ligneo utilizzati per le relative processioni, custodisce uno dei più noti capolavori del Perugino, certamente il più celebre fra quelli presenti a Città della Pieve.

È L’Adorazione dei Magi, imponente affresco di 7 metri di larghezza e 6,5 di altezza, commissionatogli dalla Compagnia dei Disciplinati e realizzato nel 1504.

La meraviglia e la maestosità dell’opera colpiscono immediatamente il visitatore, che resta affascinato dall’equilibrio e dalla posa delle molteplici figure, dall’armonia della composizione, dai vividi e realistici colori e dalla beatitudine dei volti dei personaggi. Lo sfondo, introdotto dal sapiente gioco prospettico realizzato dalla capanna e dalle colline, si perde quasi all’infinito in un’amena campagna con bucoliche tinte virgiliane, che richiama gli splendidi paesaggi ove, fra la Val di Chiana e il Lago Trasimeno, giace Città della Pieve.

La genesi dell’affresco è stata ricostruita con due storiche lettere un cui estratto è riprodotto su altrettante lapidi presenti ai lati dell’Oratorio.

L’affresco fu commissionato dal sindaco dell’allora Compagnia dei Disciplinati, a cui il Vannucci rispose che il suo onorario sarebbe stato di duecento fiorini, ma, «chome paesano», si sarebbe accontentato della metà, da versargli oltretutto a rate.

Il sindaco, tuttavia, pretese un ulteriore sconto e l’artista ridusse l’importo a settantacinque fiorini, tuttavia chiedendo, per rispetto della propria dignità di Maestro, che gli fosse mandata a Perugia «la mula et col pedone che verrone a penctorà» (cioè, l’animale con il relativo guidatore che l’avrebbero condotto a Castel della Pieve per iniziare il lavoro).

Malgrado la grandiosità dell’opera, il Vannucci impiegò appena 29 giorni a completarla, dimostrando, se mai ve ne fosse stato bisogno, l’altissimo livello del proprio genio artistico.

Ciononostante, la Compagnia prima ottenne un ulteriore ribasso dell’onorario fino a soli venticinque fiorini: alla fine il Perugino si accontentò di una mera abitazione, purché gli fossero commissionate pitture presso le dimore dei Confratelli.



In ciascuna di esse, si nota la tipica arte del Vannucci: statiche figure umane dallo sguardo assorto sono collocate in un ameno contesto, spesso uno splendido paesaggio naturale, come quelli che il Perugino poteva ammirare dalla natia Castel della Pieve. 

L’effetto è un delicato equilibrio che evoca l’onnipresenza di Dio e che attrae lo sguardo dello spettatore, proiettandolo in una dimensione di profonda ammirazione e di intenso misticismo.

Non a caso, Giovanni Santi, padre di Raffaello Sanzio, nella sua “Cronaca rimata” (1492) avrebbe assegnato al Perugino l’eloquente epiteto di Divin Pittore.